Punti di Interesse

I punti di interesse turistici noti, quali attrattori culturali, musei, monumenti, chiese, belvedere, punti paesaggisticamente interessanti, riserve naturali, riserve di biodiversità, alberi secolari, fonti, e cammini storici.

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Comune di Ribera

Informazioni: Giovedì, 09 Maggio 2024

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Consorzio Turistico Costa Sicana

Informazioni: Giovedì, 09 Maggio 2024

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Borgo Bonsignore è una delle località marittime del territorio di Ribera. Sorge sul piano dell’ex feudo Santo Pietro Sottano, in ridente e bella esposizione ad appena undici chilometri da Ribera. Caratteristica di questa zona è la costa incontaminata con spiagge rinomate come Lido Fungitella, Pietre Cadute e la zona della Riserva naturale orientata Foce del fiume Platani. Durante l’estate, un comitato di abitanti di Borgo si fa carico dell’organizzazione di spettacoli, serate danzanti, rappresentazioni teatrali e proiezioni cinematografiche che si svolgono sotto le stelle nella piazza principale. L’ultima decade di agosto viene festeggiato San Pietro, Patrono di Borgo, con una processione, giochi pirotecnici e la rigatonata nella piazza principale.

 

Borgo, un luogo di poesia…

Scrive il Farina a proposito di Borgo: “L’aria è saluberrima e le campagne fiorite e verdeggianti sono punteggiate da una miriade di casette bianche sparse tra gli alberi che ne occultano la vista del mare azzurro che si affaccia dietro la folta e rigogliosa pineta sistemata lungo l’arenile, sotto un cielo sempre sereno e ridente. È superfluo dire che il sito è incantevole. A poche centinaia di metri si profila ai nostri occhi la punta di Capo Bianco con le sue balze trapunte di fiori e coperte di verde e di muschio che conferiscono bellezza ed originalità al balzo a picco su quel mare testimone delle gesta gloriose delle navi di Roma. E ancor più in alto sul piano dell’ex feudo Piana di Vizì, la trimillenaria Eraclea Minoa si affaccia silenziosa con i suoi vetusti ruderi, con le sue ciclopiche mura, col suo magnifico teatro greco, con le sue macerie ferme nel tempo.
Così lo storico continua il suo racconto, tra storia e mitologia: “Borgo A. Bonsignore sorge accanto alle rovine dell’antica Inico, capitale dei Sicani, che fu governata da Cocalo re prode e potente, resosi celebre per il fatto di Dedalo, famoso architetto e statuario, e di Minosse, re dei Cretesi. Il fatto che ivi sorgesse Inico, ha preso consistenza di verità per il ritrovamento di antiche vestigia che ci dicono chiaramente che Inico dovette sorgere veramente sul piano dell’ex feudo San Pietro, a cavallo dei fiumi Magazzolo e Platani prospiciente al mare Mediterraneo”.

 

… e di storia

Il territorio dove oggi sorge Borgo Bonsignore fu anticamente uno dei feudi del Ducato di Bivona, denominato San Pietro. Nel 1934 la cooperativa «La Bonifica» assunse in affitto, per diciotto anni, l’ex-feudo San Pietro, di proprietà degli Ospedali Riuniti di Sciacca, esteso circa seicento ettari, con terreno dunoso per un terzo, e lo suddivise in 79 quote. Prima opera della cooperativa fu la trasformazione in rotabile della via d’accesso, lunga sette chilometri dallo stradale nazionale all’altipiano. Seguirono lavori d’estirpazione della palma nana, costruzione di strade interne, del canale d’irrigazione, di case coloniche, stalle, silos per foraggio, magazzino, case per l’amministrazione dell’azienda; opere di prosciugamento, dissodamento e sistemazione di terreni, impianti di oliveti e vigneti, nuovo acquedotto, vasca e strada interpoderale. Furono coltivati anche i terreni dunosi ed alcune famiglie riberesi decisero di trasferirvisi. [Nicolò Inglese, cfr. nota]

L’odierna frazione di Borgo Bonsignore deriva il suo nome da «Antonio Bonsignore», capitano dei carabinieri, originario di Agrigento, medaglia d’oro e caduto in combattimento a Gemu Gador (Africa Orientale Italiana) il 24 aprile 1936. Fu l’Ente Nazionale per la colonizzazione del latifondo ad inaugurare ufficialmente, il 10 dicembre 1940, detto borgo rurale, che è distante da Ribera tredici chilometri. Il borgo era costituito da un complesso imponente di opere costruite dall’Ente: un municipio, una scuola elementare, un ristorante, venticinque case coloniche, un ufficio postale, una caserma dei carabinieri, un ambulatorio medico ed una chiesa parrocchiale con vetri colorati e con affreschi pregevoli del pittore Amorelli di Sambuca. L’Ente destinò al Borgo, con obbligo di residenza, un medico, una levatrice, un ufficiale d’ordine e due guardie con attribuzione anche di fontanieri.
Dopo qualche anno vennero a far parte del Borgo anche alcune terre dell’ex-feudo Cuci-Cuci, gli ex-feudi San Pietro della Palma e Giardinello, che estesero i confini del Borgo dal Magazzolo al Platani. Gli abitanti, che al momento al momento dell’inaugurazione erano appena un centinaio, in pochi anni salirono a seicento.
(Nicolò Inglese, Storia di Ribera, Agrigento, Tipografia Vescovile Padri Vocazionisti, 1966). Altra fonte bibliografica: Giovanni Farina, Ribera e il suo territorio, Palermo 1979.

 

La città di Ribera è stata anche definita “Crispina” per aver dato i natali a Francesco Crispi il 4 ottobre 1818. La sua casa natale è ancora oggi esistente, posta all’angolo tra la via omonima e il Corso Umberto. La sua notevole mole e struttura interpretano bene l’ottocentesca solidità borghese. Nei primi anni del 1990 fu consolidata e ristrutturata. Crispi vi trascorse solo i primi anni della sua infanzia, dopodiché fu mandato a Villafranca e a Palermo per ricevere un’istruzione

Francesco Crispi nasce a Ribera (Agrigento) il 4 ottobre 1818, da Tommaso Crispi di origine albanese, un commerciante di granaglie e Giuseppina Genova. Laureato in Giurisprudenza presso l’università di Palermo , esercitò la professione di avvocato .Figura di spicco del Risorgimento, fu uno degli organizzatori della Rivoluzione siciliana del 1848 e fu l’ideatore e il massimo sostenitore della spedizione dei Mille, alla quale partecipò.

Inizialmente mazziniano, si convertì agli ideali monarchici nel 1864. Anticlericale e ostile al Vaticano, dopo l’unità d’Italia fu quattro volte presidente del Consiglio: dal 1887 al 1891 e dal 1893 al 1896. Nel primo periodo fu anche ministro degli Esteri e ministro dell’Interno, nel secondo anche ministro dell’Interno. Fu il primo meridionale a diventare presidente del Consiglio. In politica estera coltivò l’amicizia con la Germania, che apparteneva con l’Italia e l’Austria alla triplice alleanzaI suoi governi si distinsero per importanti riforme sociali (come il codice Zanardelli che abolì la pena di morte e introdusse il diritto di sciopero) ma anche per la guerra agli anarchici e ai socialisti, i cui moti dei Fasci siciliani furono repressi con la legge marziale. In campo economico il suo quarto governo migliorò le condizioni del Paese. Crispi sostenne tuttavia una dispendiosa politica coloniale che, dopo alcuni successi in Africa orientale, portò alla disfatta di Adua del 1896. L’evento portò alla fine della carriera politica di Crispi. Morì a Napoli, l’11 Agosto 1901.

 

Dove è ubicato

Su un ameno colle, a tre chilometri da Ribera, sorgono le suggestive rovine di un castello. È il Castello di Poggio Diana con la sua torre merlata, alta e imponente che ricompare stilizzata sullo stemma ufficiale del Comune, assurgendo ad emblema della città di Ribera. Il Castello si trova su uno sperone roccioso dominante la valle del fiume Verdura. Originariamente indicato con il nome saraceno di Misilcassino, ossia luogo di discesa a cavallo, il Castello, a partire dal XVI secolo, prese il nome attuale in onore della nobildonna Diana Moncada, andata in sposa nel 1511 al conte Gian Vincenzo Luna. Furono per primi i Saraceni a costruire nel secolo IX sopra un poggio, sulla sinistra del fiume Verdura (Alba-Sosio), a poche miglia dal mare, un castello che prese il nome di Misilcassin dal feudo omonimo.
Successivamente i Normanni, intorno al XII secolo, avvertirono l’esigenza di costruire un castello fortificato per difendere le piccole comunità vicine e le terre da loro conquistate tra il fiume Platani e Caltabellotta, anticamente denominata Triocala. Al castello si raccoglievano le genti del contado. La struttura fortificata domina, dall’alto della sua torre, la ripida balza e la profonda valle del fiume Verdura. Il corso del fiume in prossimità del Castello ha un andamento tortuoso e, scorrendo in una strettissima gola incisa nella roccia calcarenitica, forma tre grandi anse, l’ultima delle quali lambisce il colle di Poggio Diana.

 

 Come è stato costruito

Adagiato sopra tale colle, il Castello si sviluppa su di una pianta irregolare che, coprendo un’area di circa tremila metri quadrati, segue la natura e la forma del terreno; è costruito in pietra arenaria da taglio, con piccole finestre rettangolari di stile arabo-normanno, secondo tutte le regole dell’architettura militare di quei tempi, con ponte levatoio, ampio cortile quadrilungo, cappella, scuderia, armeria e caserme per la guarnigione. Dell’antico maniero rimangono parte delle mura perimetrali, il bastione angolare quadrato e la torre cilindrica di 25 metri di altezza, coronata da caratteristici beccatelli. La torre cilindrica mostra al suo interno una volta a crociera costolonata su pianta ottogonale, un tipo di copertura adottata all’interno delle torri castellane di età sveva-federiciana. Il Castello aveva due ingressi, l’uno rivolto a mezzogiorno, l’altro a settentrione, che immettevano in un ampio cortile. Sbarrate le due porte d’ingresso, nessuno poteva accedervi. La linea di difesa esterna del Castello era costituita da un muro alto e spesso, mentre un altro muro, costituito dai fabbricati interni, fra loro collegati con opere stabili, chiudeva la fortezza. Detti fabbricati comunicavano tra loro per mezzo di corridoi e terrazze merlate. Un portone a sesto acuto serviva da ingresso ad un secondo cortile. Due ponti in muratura, di cui sono ancora visibili alcuni ruderi, mettevano in comunicazione le due sponde del fiume vicino.

 

 A chi apparteneva

In un primo tempo gli estesi possedimenti del contado di Sciacca, incluso il Castello, furono assegnati nel 1100 dal Conte Ruggiero Normanno alla figlia Giulietta, per poi passare ai figli di lei. Nel 1253 il Castello e le terre di Misilcassino, a cui era aggregata la baronia di Magazzolo, vennero concessi dal re Manfredi, ultimo degli Svevi, al suo parente Matteo Maletta. Federico II d’Aragona, nel 1392 concesse il Castello al Conte Guglielmo Peralta, Signore di Caltabellotta, figlio di Guglielmo I.  In seguito, passò ad un nobile di Sciacca, Artale Luna, che aveva sposato Margherita Peralta, erede della Contea di Caltabellotta. L’investitura del castello passò quindi al figlio di questi, Antonio de Luna in data 10 novembre 1453, in virtù del regio privilegio concessogli dal re Alfonso il Magnanimo.

 

 Il Castello prediletto da Diana

Il 7 novembre 1510 Giovan Vincenzo de Luna, sposato con Diana Moncada, signore delle terre comprese fra Caltabellotta ed i fiumi Verdura e Magazzolo (Isburo), ebbe la investitura del feudo Misilcassin. Il Conte Luna, attratto dal clima mite e dalla bellezza incomparabile dei luoghi, annualmente, nel periodo invernale, scendeva dal suo castello di Caltabellotta in quello di Misilcassino, che ribattezzò «castello di Poggio Diana» in onore della moglie. E Diana Moncada lo prediligeva a tal punto che era veramente felice di trascorrervi alcuni mesi dell’anno. Un luogo del Castello, tuttora conosciuto col nome di «piano della Signora», ricorda la signora Moncada, bella ed intelligente oltre che coraggiosa. La signora infatti, quando il marito s’allontanava per correre in aiuto dei suoi amici vicini o lontani, non tornava a Caltabellotta, ma rimaneva nel castello e di notte ispezionava le sentinelle poste sulle mura. “Dati i tempi, non c’era sicurezza personale contro le scorrerie dei Turchi e dei pirati africani e due passaggi segreti portavano direttamente dall’appartamento del signore del castello all’aperto: il primo al greto del fiume, l’altro a monte. […] Una notte d’inverno il silenzio fu rotto dallo echeggiare dei rintocchi della campana: segnale d’allarme. Il castello veniva attaccato ma Diana Moncada non corse ad uno dei passaggi segreti, affrontò arditamente gli assalitori e li costrinse a ritirarsi con perdite” (da Nicolò Inglese, Storia di Ribera, Agrigento, Tipografia Vescovile Padri Vocazionisti, 1966).

 

La Chiesa di Ribera dedicata a Maria SS. Immacolata fu costruita nel 1686. La chiesa, è sopraelevata rispetto al piano stradale e vi si accede tramite una doppia scala. Il prospetto presenta alcuni elementi caratteristici dello stile barocco, quali il portale di accesso e la finestra soprastante. L’interno è costituito da una sola navata, con quattro altari laterali e otto nicchie. Sul lato destro, sopra l’altare, vi è la nicchia di S. Antonino, a fianco quella di S. Rita, sul secondo altare la Madonna del Carmelo, a fianco all’Altare Maggiore, sul lato destro, la nicchia di S. Giuseppe. Al centro l’Altare Maggiore sormontato dalla nicchia della Madonna di Fatima. Sul lato sinistro una nicchia espositiva, incassata, con all’interno Gesù Cristo morto.

Sopra l’altare vi è la nicchia dell’Ecce Homo, a fianco l’Addolorata, sul secondo altare S. Vincenzo Ferreri, accanto al pulpito, dove si celebrava la Santa Messa. Ai lati dell’Altare Maggiore si possono ammirare due tele: la Madonna delle Anime Purganti e Santa Fare. Tele: Maestranze Siciliane del XVIII secolo di Francesco Triscia di Sciacca. 

 

Dopo la prima Chiesa Madre, costruita a Ribera nel 1637, a causa dell’incremento demografico, ne sorse una seconda nel 1670 e nel 1751, sempre per lo stesso motivo, se ne costruì una terza molto più grande della precedente e con tre navate in stile rococò. L’attuale Chiesa Madre si iniziò a costruire il 21 marzo del 1751, per iniziativa dell’arciprete Stefano Bona e sotto la direzione di Paolo Bartolotta, e fu completata nel 1760. Nel 1857, nella navata del Sacramento, furono sepolti i genitori dello statista riberese Francesco Crispi. Nel 1907 il nuovo arciprete Don Nicolò Licata si interessò alla demolizione del Campanile provvisorio, alla costruzione del prospetto e ai lavori interni di rifinitura. Per potere compiere tali lavori si recò nel 1913 negli Stati Uniti d’America e riuscì a raccogliere dagli emigranti italiani una cifra molto considerevole.
La facciata risultava alquanto monumentale e in essa posero tre meravigliose porte in legno, opera di fine intaglio dell’artista saccense Giuseppe Cusumano e di Antonino Leto da Ribera.
L’inaugurazione della Chiesa avvenne il 25 aprile 1915, terza domenica di Pasqua, alla presenza del Vescovo, Mons. Lagumina. In seguito il prof. Luciano Vitabile da Sciacca ornò di ori i capitelli e di sacri dipinti le cappelle del S.S. Sacramento e di San Giuseppe.
Finita la guerra, sempre su interessamento dell’arciprete Licata, si costruì il campanile.

L’architetto Francesco Valenti disegnò il progetto del campanile, alto 40 metri, che i maestri d’arte Benedetto Trapani e Raimondo Lentini realizzarono. Il 3 maggio 1926 il Vescovo Mons. Lagumina inaugurava il nuovo Campanile. aperta una porta laterale per potere officiare le sacre funzioni. Danneggiata dal terremoto del 1968 e durante le feste natalizie, precisamente il 29-12-1969 le continue e insistenti piogge determinarono la caduta della volta centrale e di quella laterale.La chiesa Madre., è rimasta chiusa fino a che i lavori di restauro ne hanno permesso la riapertura. nel mese di Dicembre del 1999.

All’interno della Chiesa Madre possiamo ammirare , sull’altare maggiore, un quadro ad olio raffigurante la Madonna del Rosario, del Provenzani ; un altro dipinto, di autore ignoto, venne collocato sull’altare destro della navata laterale, raffigurante S. Anna e S. Gioacchino.

 

La Riserva Naturale della Foce del Fiume Platani è un’area protetta istituita il 4 luglio 1984 dalla Regione Siciliana con la seguente motivazione: “Per garantire la conservazione della popolazione ornitica, favorire la ricostituzione della macchia mediterranea, e delle dune”.

La Riserva Naturale della Foce del Fiume Platani si trova in provincia di Agrigento e comprende la foce del fiume Platani e una parte di Borgo Bonsignore, è costituita da una superficie complessiva di circa 206 ettari.

 

Il fiume Platani è uno dei più importanti di tutta la Sicilia, sfocia nel mare in prossimità di Capo Bianco, un’incantevole falesia bianca costituita da marna calcarea, alla sommità della quale si trova l’acropoli di Eraclea Minoa, un posto dove si intrecciano lo spettacolo della natura con il fascino della storia che danno vita ad un’atmosfera davvero unica.

 

Il rimboschimento protettivo degli anni ’50 è costituito da una pineta (Pinus Halepensis, Pinus Pinea e Pinus Canariensis) in cui si inseriscono alcuni lembi ad Eucalipto (Eucaliptus Camaldulensis) e Acacia.

Sotto il rimboschimento esiste in molti punti un florido sottobosco con specie della macchia mediterranea, in particolare Lentisco (Pistacia Lentiscus), Asparago spinoso (Asparagus Acutifolius) Palma nana (Chamareops Humilis), Tamerice (Tamarix Gallica) e Carrubo (Ceratonia Siliqua).

Si tratta di specie erbacee e arbustive che colonizzano e favoriscono la formazione delle dune che proteggono la vegetazione dalla salsedine e dai forti venti .

Lungo tutta la foce abbondano: la Cannuccia, il Giunco, l’erba Kali, il Giglio di mare e lo Zigolo delle spiagge.

Per ciò che concerne la fauna possiamo annoverare la presenza della tartaruga Caretta Caretta e diverse specie di uccelli migratori come l’Avocetta, il Cavaliere d’Italia, il Falco Pellegrino e il Falco di palude, e vi nidificano anche altre specie di volatili che trovano nella Riserva il loro habitat naturale. Nella parte più interna della Riserva Naturale del Fiume Platani vivono anche la Biscia dal collare e il Coniglio selvatico.

 

Il fiume Verdura, negli ultimi suoi chilometri confine naturale tra Caltabellotta e Ribera, ha scavato nei millenni nella roccia di arenaria un fantastico canyon, denominato la Gola del Lupo. Da qui passava la vecchia “trazzera”, che collegava i due paesi. Le moderne strade difficilmente attraversano paesaggi simili. Dall’altra sponda del fiume si accede al Castello di Poggiodiana.
L’impianto originario del castello, di cui oggi rimangono le mura perimetrali e la torre di vedetta, fu costruito dagli arabi come casale di sosta per i viaggiatori. Esso sorge su un naturale promontorio che delimita la pianura dove vengono coltivate le famose arance di Ribera, dunque un posto strategico per la difesa. Esso fu noto come Misilcassino, nome arabo che significa “luogo di discesa a cavallo”. La denominazione Poggiodiana fu presa quando il castello passò in mano alla famiglia Luna nel XV secolo alla quale apparteneva la nobildonna Diana Moncada, figlia del principe di Paternò Luigi Guglielmo Moncada e moglie di Vincenzo Luna.

 

Le Gole Fluviocarsiche della Tardàra sono costituite da un profondo canyon scavato dal Fiume Carboj che, a valle dell’odierno sbarramento artificiale del Lago Arancio, lo percorre nel tratto terminale del suo corso. Si tratta di una stretta fenditura, conosciuta anche come Stretta Arancio, originata dall’azione erosiva del Fiume Carboj che, nel tempo, ha scavato un’incisione profonda in media 200 metri e lunga circa 2 km. Essa divide il complesso calcareo qui affiorante in due settori, che prendono i nomi di Monte Arancio (403 m) e Monte Cirami (516 m), ubicati rispettivamente a NO e a SE della gola.

Tale canyon costituisce un’area di rilevante interesse naturalistico-ambientale, sia per le caratteristiche geologiche e paleontologiche sia per il popolamento vegetale e faunistico in essa ospitato. Dal punto di vista geologico questa incisione è costituita da una successione meso-cenozoica carbonatica, conosciuta in letteratura con il termine di Unità Saccense. La successione stratigrafica descritta in quest’area è caratterizzata, in generale, da diverse decine di metri di calcari bianchi peritidali di piattaforma carbonatica del Giurassico inferiore seguiti, verso l’alto, da calcari grigio-rosati condensati con ammoniti del Giurassico medio-superiore, da calcari bianchi a calpionelle di età Giurassico superiore-Cretacico inferiore e da calcilutiti con liste e noduli di selce del Cretacico superiore-Eocene. Ben noto il contenuto paleontologico, costituito nel complesso da alghe calcaree, foraminiferi, gasteropodi, bivalvi, crinoidi, brachiopodi e ammoniti. Particolare interesse rivestono i depositi condensati del Giurassico medio e superiore (del tipo Rosso Ammonitico) che, nonostante gli esigui spessori, hanno restituito importanti associazioni ad ammoniti note sin dall’inizio del secolo scorso.

La Gola è altresì nota per ospitare importanti manifestazioni carsiche su calcare, in particolare grotte di notevole interesse speleologico. Queste trovano la loro massima espressione nella Grotta Lisarella (o Lisaredda), sita sul versante destro della Gola, nota anche in ambito archeologico per la presenza di resti neolitici ivi rinvenuti.

Dal punto di vista floristico, le Gole della Tardàra costituiscono un biotopo peculiare in quanto caratterizzato dalla presenza di specie vegetali endemiche o di particolare interesse biogeografico, come ad esempio quelle insediate sulle pareti rocciose, nelle cenge e negli ambienti semi-rupestri. La presenza di grotte di origine carsica ha inoltre favorito l’insediamento di diverse colonie di chirotteri, il cui studio è attualmente in corso.

 

La riserva naturale orientata Monti di Palazzo Adriano e Valle del Sosio è un’area naturale protetta situata nei comuni di Bivona e Burgio, in provincia di Agrigento e di Chiusa Sclafani e di Palazzo Adriano, nella città metropolitana di Palermo, istituita dalla Regione Siciliana nel 1997. Nel 2012 è stata inglobata nel parco dei Monti Sicani. Nel 2019[1], a seguito dell’annullamento del Parco del Monti Sicani, è stata ripristinata.

In questa riserva si trovano fossili risalenti al Permiano, i più antichi rinvenibili in Sicilia. Il merito della valorizzazione di questa area naturale è del paleontologo Gaetano Giorgio Gemmellaro (1832-1904). L’area è gestita dall’Azienda Regionale Foreste Demaniali. La riserva ha una superficie di 5.862 ha ed è attraversata dal fiume Sosio (corso d’acqua che nasce tra Santo Stefano Quisquina e Bivona); è stata inaugurata nel maggio 2005 e presenta 40 sentieri, oltre 60 specie di uccelli, più di 47 specie botaniche (tra cui bellissime orchidacee) e funghi come il funcia di ferla, e un’area attrezzata, quella della Menta nel bosco di San Adriano. L’area attrezzata della riserva è stata inaugurata il 18 maggio 2005[2].

 

La Necropoli di Anguilla rappresenta un importante sito archeologico situato a sud di Ribera, in Contrada Anguilla, risalente al XII secolo a.C. Scoperta nel 1982, questa necropoli è nota per le sue tombe particolari, divise principalmente in due tipologie: le grotticelle artificiali e le tombe a camera.

Le tombe a grotticella artificiale sono accessibili attraverso un “dromos”, un corridoio lungo da 1,5 a 5 metri, che conduce alla tomba principale. Quest’ultima è costituita da una o due camere con una volta a cupola, con un gradino dove veniva collocato il defunto insieme agli oggetti votivi quali vasi, anelli, armi e utensili. Questo tipo di struttura è unica nella Sicilia occidentale per dimensione e tipologia, rappresentando un’importante testimonianza dell’antica cultura funeraria della regione.

La Necropoli di Anguilla è stata oggetto di studi approfonditi che hanno permesso di comprendere meglio le pratiche funerarie e la vita delle comunità preistoriche e protostoriche che abitavano questa parte della Sicilia. Il sito è stato anche restaurato e reso accessibile ai visitatori interessati alla storia e all’archeologia, offrendo un’opportunità unica di esplorare un pezzo significativo del passato siciliano.

Oggi, la necropoli rappresenta non solo un sito di interesse storico e scientifico, ma anche un luogo di memoria e di scoperta per chi desidera approfondire le antiche civiltà che hanno plasmato la Sicilia occidentale millenni fa.

 

La spiaggia di Piana Grande è un vero gioiello della costa agrigentina, noto per i suoi paesaggi mozzafiato e la sua atmosfera suggestiva. Situata tra Ribera e Sciacca, questa spiaggia si distingue per la sua bellezza naturale e la sua tranquillità. Lungo il litorale si alternano tratti sabbiosi e ciottolosi, arricchiti da dune coperte di macchia mediterranea, che offrono un habitat prezioso per la flora e la fauna locali.

Piana Grande è particolarmente apprezzata dai visitatori per le sue acque limpide e cristalline, ideali per il nuoto e lo snorkeling. Il fondale marino è ricco di vita, rendendo la zona un paradiso per gli amanti della natura e degli sport acquatici. Lunghe passeggiate lungo la spiaggia permettono di godere di panorami incantevoli, con la vista che si estende fino alla foce del fiume Verdura, che conferisce un ulteriore fascino selvaggio al paesaggio.

Durante la stagione estiva, Piana Grande accoglie numerosi visitatori in cerca di relax e di pace lontano dalla frenesia quotidiana. È anche un luogo ideale per gli appassionati di fotografia, che possono catturare alba e tramonti indimenticabili sulla costa siciliana. La spiaggia è facilmente accessibile e dispone di servizi essenziali per i turisti, garantendo comfort e sicurezza.

In conclusione, Piana Grande rappresenta un connubio perfetto tra natura incontaminata e possibilità di svago, rendendola una meta imperdibile per chi visita la Sicilia alla ricerca di autenticità e bellezza paesaggistica.

 

È la borgata marittima più rinomata di Ribera e si trova a 10 km circa dalla città. D’estate è frequentata dai molti villeggianti, non soltanto riberesi, che si trasferiscono a Seccagrande per trascorrervi le vacanze affollando le spiagge, l’arioso ed accogliente lungomare “Gagarin” disseminato di molti locali dove trascorrere interi pomeriggi o incantevoli serate in compagnia. Ogni estate attraggono sempre molti visitatori le gare di pesca, i giochi sulla spiaggia ed i moltissimi eventi patrocinati dall’Amministrazione Comunale per allietare le serate estive. Da non perdere i giochi pirotecnici, con accompagnamento musicale, che si svolgono ogni anno alla mezzanotte del 15 agosto in spiaggia e che sono ben visibili dal lungomare.

 

Un po’ di storia: i riberesi e la borgata      

Scrive lo storico Farina: “Il territorio del Mandamento di Ribera è quello che costituiva in gran parte, il dominio sud-est dell’antica e famosa Caltabellotta; esteso tra le colline ubertose, amene valli ed il mare. Il mare è stato in ogni tempo la via naturale di accesso al commercio e i riberesi, gente dalle più ardite iniziative, hanno costruito molto tempo fa, l’attuale strada per raggiungerlo.
Dalla strada nazionale SS. 115 in prossimità del portone d’ingresso della contrada Spataro del dr. Giovanni Parlapiano Vella ha inizio la strada per Seccagrande; scorrente sul vasto altopiano tra i feudi Piana e Castellana; e proseguendo in dolce declivio per il feudo Camemi e il lungo mare, termina alla foce del fiume Magazzolo. È una vecchia strada interpoderale creata dai proprietari interessati, ai quali in un tempo non molto lontano serviva pel trasporto a mezzo carri dei prodotti del suolo, su quella spiaggia, dove approdavano i bastimenti a vela, che portavano i cereali in paesi lontani. Allora la nostra rada sembrava un piccolo porto e tale dovrebbe essere, sia per la configurazione naturale della spiaggia, sia perché in un punto vicino la riva detto il fosso della «Lagusta» il mare è molto profondo”.

“I riberesi, per antica tradizione, dopo il raccolto, in comitiva ed a gruppetti, si davano convegno a Seccagrande in cerca di fresco, di verde, di aria iodica. Per l’occasione essi costruivano sull’altipiano, con frasche e tende dai variopinti colori, le capanne per spassarvi nel periodo estivo quello che secondo i casi chiamavano week-end, vacanze, villeggiature. La spiaggia di Seccagrande è costituita da una lunga striscia di terra brulla e ghiaiosa, che prolungandosi verso mezzogiorno va a finire alla foce del fiume Magazzolo, mentre dal lato opposto, la spiaggia forma un arco sporgente nel mare, terminante in una grande secca con innumerevoli scogliere. Da questa secca prese il nome la località: «Seccagrande»”.
“Seccagrande! Vi dominava ancora, lungo la fascia costiera, la palma nana, ma anche d’inverno, nelle belle giornate, la spiaggia non era più silenziosa né la solitudine rotta soltanto, come nel passato, dalla presenza di qualche pastore, a guardia di greggi ed armenti al pascolo, che sostava sul ciglio dell’altipiano a guardare la sconfinata distesa delle acque. I riberesi non pensavano più a costruirvi un porto ma la frequentavano e d’estate l’affollavano, proponendosi di farne, oltre che una stazione balneare in piena regola, anche un’accogliente località di villeggiatura, come dimostravano già le prime costruzioni”. [Nicolò Inglese, 1966]

 

La villa Comunale rappresenta il fiore all’occhiello della città. Un luogo incantevole da visitare ed apprezzare, immerso in una flora verdeggiante con molte specie di piante rare ed alberi millenari. Un viaggio tra i colori ed i profumi intensi e delicati, le viuzze immerse tra i fiori dove è possibile fare passeggiate rilassanti. Tre vasche d’acqua sono presenti all’interno della villa, dove è possibile vedere la casa dei cigni. Vi è un parco giochi per i bambini, luogo salutare e divertente.
Sempre all’interno della Villa, merita una visita il museo permanente Etno-Antropologico. E’ nato nel 1989 grazie all’associazione “Ribera Verde” che ha raccolto più di 4.000 reperti della civiltà contadina, pastorale ed artigianale di questo territorio. L’istituzione del museo ha permesso di recuperare, catalogare, restaurare, conservare e rendere fruibili tutti gli utensili e macchine agricole dell’antica arte dei contadini.

 

Museo Etnoantropologico

All’interno della Villa, merita una visita il museo permanente Etnoantropologico. E’ nato nel 1989  grazie all’associazione “Ribera Verde” che ha raccolto più di 4000 reperti della civiltà contadina, pastorale ed artigianale di questo territorio. L’istituzione del museo ha permesso di recuperare, catalogare, restaurare, conservare e rendere fruibili tutti gli utensili dell’antica arte dei contadini e macchine agricole.

 

Ultimo aggiornamento

23 Marzo 2024, 18:31